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ORE A MARTELLO A ISCHIA PONTE ULTIMA STORIA DEL TEMPO SCANDITO PER RESIDENTI E TURISTI
COME I “GUARDIANI DEL FARO” COSI’ I NOSTRI GIGGINO LANFRESCHI E PIERINO PUGLIESE ARTEFICI DELLA STORIA DAL DOPO GUERRA AD OGGI DELLA VECCHIA MACCHINA PERFETTA CHE REGOLA LE ORE E I MINUTI DELLA VITA QUOTIDIANA DEL CENTRO STORICO / MA I RINTOCCHI DELL’OROLOGIO DI ISCHIA PONTE NON PER TUTTI ERANO UN “PIACERE” ASCOLTARLI. SI RACCONTA CHE NEGLI ANNI ’20 QUANDO NEL BORGO FUNZIONAVA LA SALA CINEMATOGRAFICA DI LUIGI CASTAGNA COL CINEMA MUTO, NELLE ORE DELLA PROIEZIONE DELLE PELLICOLE, SPECIE DURANTE SCENE ROMANTICHE, IL SUONO DELLE CAMPANELLE DEL VICINO OROLOGIO PUBBLICO RIPROPOSTO OGNI QUARTO D’ORA DISTURBAVA NON POCO IL PIANISTA CHE IN SALA SUONAVA SOTTO LO SCHERMO ACCOMPAGNANDO CON MUSICA APPROPRIATA LO SCORREERE DEL FILM. IL PATRON DON LUIGI CASTAGNA DIETRO LE PROTESTE DEL PUBBLICO, CHIESE AL MUNICIPIO, ALMENO NELLE SERE IN CUI IL CINEMA ERA APERTO, DI SOSPENDERE IL FUNZIONAMENTO DELL’OROLOGIO. CASTAGNA NON FU ASCOLTATO. ACCADE CHE, POCO DOPO LA PROTESTA, L’OROLOGIO PER UN BEL PERIODO SI INCEPPÒ E SMISE DI FUNZIONARE. PERTANTO SI PENSÒ AL SABOTAGGIO
DAL SUONO DELLE “CAMPANELLE” DELL’ OROLOGIO DI ISCHIA PONTE ALLE ANTICHE CAMPANE DELLA SANTA LE QUALI SECONDO LA CREDENZA POPOLARE IL LORO SUONO EMERGE AN CORA DAL PROFONDO DEL MARE / Nei primi anni del 1600 l’assalto non fu fermato e i Turchi, penetrati nella cappella, ove era la statua di Santa Restituta, ne saggiarono con un colpo di scimitarra il legno dorato e delusi, balzarono sul campanile e rubarono le campane, avendole ritenute d’oro. Il capitano della galea dà ordine di salpare le ancore; ma ecco che comincia a soffiare un vento impetuoso, il mare si increspa sempre di più, le onde diventano sempre più alte e spumeggianti, la nave ora si inabissa nei gorghi, ora è sospinta in elevazione sull’acqua…
QUANDO “LI TURCHI” RUBARANO LE ANTICHE CAMPANE DI SANTA
RESTITUTA E NAUFRAGARONO COL PREZIOSO CARICO AL LARGO DI LACCO
AMENO
DI MICHELE LUBRANO
Quando si parla di Santa Restituta si pensa ad un evento importantissimo per i lacchesi, specie per quelli che conservano gli episodi storici (o leggendari) come cimeli. Infatti, un particolare fascino ha sempre suscitato la vicenda delle campane di S. Restituta, su cui molto ha lavorato la fantasia popolare. Due accenni di esse si hanno in un documento pontificio emanato da Papa Sisto V il 13 gennaio 1590: “ecclesia cum campanis et cortili”, e in un passo del Capaccio, storico del ‘500: “dalla torre di Monte Vico di Lacco partiva l’allarme e le campane di S. Restituta fuse in quel tempo suonavano a distesa” (si riferisce lo storico alle scorribande che i Turchi non di rado facevano sull’isola d’Ischia). Allora infatti questo era il più grande flagello per gli isolani; molto probabilmente gli assalti erano effettuati a partire dalla primavera: di ciò si conserva il ricordo in alcuni stornelli popolari che vogliono indicare la fine delle invasioni: “A S. Restituta le fave so arrennute, le quaglie so fernute e li turchi so partute”. Ma nei primi anni del 1600 l’assalto non fu fermato e i Turchi, penetrati nella cappella, ove era la statua della Vergine, ne saggiarono con un colpo di scimitarra il legno dorato e delusi, balzarono sul campanile e rubarono le campane, avendole ritenuto d’oro. Dopo aver assistito allo scempio dei rapinatori e al trasporto delle campane sulle navi, i coloni dispersi sulle colline vedono i pirati apprestarsi a partire col prezioso carico. Il capitano della galea dà ordine di salpare le ancore; ma ecco che comincia a soffiare un vento impetuoso, il mare si increspa sempre di più, le onde diventano sempre più alte e spumeggianti, la nave ora si inabissa nei gorghi, ora è sospinta in elevazione sull’acqua. Le campane sono gettate in mare per alleggerire il carico. Un solo pensiero in quanti erano sulle colline, le andremo a ripescare. E quando tornò il sereno, i lacchesi andarono per ripescare le campane, le agganciavano, provavano a tirare: fatica sprecata ed inutile. Nel corso dei secoli i vari tentativi, ripensati dalla fantasia popolare, non hanno avuto esito migliore. E la notte dal sedici al diciassette maggio quelle campane in fondo al mare dondolano a festa; e le anime belle che si recano sulla riva e restano in ascolto dicono che quei concerti sono paradisiaci: sono le armonie della verginità e del martirio! Don Pasquale Polito ritiene che forse da questa tradizione popolare, Renan derivò la leggenda della sepolta cattedrale di Is. «La lessi, la prima volta, mezzo secolo fa, scrive Polito; in seguito l’ho riletta altre volte e sempre vi ho trovato delle affinità. Mi sono deciso a trascriverla, convinto che non sia una divagazione, ma un arricchimento del discorso. “Una delle leggende più diffuse in Bretagna – riporta Renan – è quella di una pretesa città di Is, che in un’età non conosciuta sarebbe stata inghiottita dal mare. In diversi punti della costa viene mostrata l’area occupata da codesta città favolosa, e i pescatori ne fanno strani racconti. Nei giorni di tempesta – assicurano – si scorgono nel cavo dei marosi le punte delle guglie delle sue chiese; nei giorni di calma, si ode venire su dall’abisso il suono delle sue campane modulante l’inno del giorno. Mi pare spesso di avere in fondo al cuore una città di Is, che suoni ancora campane, ostinate a convocare ai sacri uffici dei fedeli che non le intendono più. Talvolta mi soffermo a porgere l’orecchio a codeste tremule vibrazioni, che mi paiono venire da profondità sconfinate, quasi voci d’altro mondo. Soprattutto all’approssimarsi della vecchiaia ho preso diletto, durante il periodo estivo, a raccogliere siffatti lontani sussurri.
DI ANTONIO LUBRANO
Lo storico ed antico Orologio di Ischia Ponte in questi mesi ha compiuto 266 anni e merita che ne riparliamo, con dovizia di particolari a cominciare dalla sua reale storia fino ai diversi episodi legati ai suoi storici rintocchi che da sempre hanno condizionato le ore del giorno e della notte degli abitanti del Borgo. In primis partendo dal principio, da quando cioè inizia ufficialmente la bella storia dell’Orologio del Borgo di Celsa. L’Orologio col suo complicato macchinario è situato in una vera e propria Torre che a quel tempo in un’ apposita vasca riceveva l’ acqua di Buceto e che oggi, ospita il Museo del Mare. L’edificio è stato prima palazzo municipale e poi scuola elementare. L’ installazione dell’Orologio pubblico avvenne nel 1759, quando alla torre stessa venne annessa la struttura dove oggi alloggia il quadrante, una volta in marmo, ora luminoso e di lastra. “Scandisce da sempre, è scritto nel post del Filippide, con i suoi rintocchi le giornate dei residenti e dei turisti del Borgo, dal tintinnio del quarto d’ora, allo scampanio di mezzogiorno. Il funzionamento, la precisione e la manutenzione, sono opera certosina e appassionata di Pierino Pugliese, che ormai da anni cura lo splendido meccanismo che vedete nelle foto, raccogliendo l’eredità del famoso orafo e orologiaio pontese Luigi Lanfreschi detto ” Giggino”. “Ringraziamo Pierino conclude Balestriere, per la possibilità che ci ha dato di visitare le stanze da dove si gode di uno splendido belvedere di tutto l’antico Borgo”. Quindi lo storico orologio del Borgo di Celsa custodito oggi da Pierino Pugliese e andando all’indietro fino a Giggino Lanfreschi, ma prim’ancora da altri incaricati fino ad arrivare alla metà dell’ 800 allorquando a curare la macchina dell’Orologio con i suoi pesi era tale Liberato Califano giù usciere del Municipio ivi allocato. L’orologio era punto di riferimento per tutto il Borgo ed essendo uno dei più antichi con ricarica manuale, spesso i turisti già dagli anni ’40 richiedevano di visitarlo”. L’orologio batte il tempo, segna le ore e scandisce i battiti delle giornate. Quelle della piazza del paese, poi, ha una magia tutta sua e accompagna i residenti in tutto il corso della giornata: dalla spesa al supermercato, alla messa domenicale in chiesa, dall’ora di entrata a quella di uscita dalla scuola, dall’inizio alla fine della giornata di lavoro. Insomma, l’orologio di ogni piazza che si rispetti è un “cittadino” a tutti gli effetti, è un compagno di giornate, anche per chi, ormai in pensione, in strada, sul ponte, al bar ed al circolo per giocare a carte. L’orologio di Ischia Ponte è stato fedele alleato dei pescatori del Borgo. I suoi rintocchi scandivano di primo mattino ormai l’ora voluta per uscire in mare. Così è stato per i corrieri che si affidavano allo scandire del tempo dell’orologio del Borgo per arrivare in orario sulla banchina all’imbarco per Napoli. Ma i rintocchi dell’Orologio di Ischia Ponte non per tutti erano un “piacere” ascoltarli. Si racconta che negli anni ’20 quando nel Borgo funzionava la sala cinematografica di Luigi Castagna col cinema muto, nelle ore della proiezione delle pellicole, specie durante scene romantiche, il suono delle campanelle del vicino orologio pubblico riproposto ogni quarto d’ora disturbava non poco il pianista che in sala suonava sotto lo schermo accompagnando con musica appropriata l’andamento delle scene. Luigi Castagna dietro le proteste del pubblico, chiese al Municipio, almeno nelle sere in cui il cinema era aperto di sospendere il funzionamento. Castagna non fu ascoltato. Accade che poco dopo la protesta, l’orologio per un bel periodo si inceppò e smise di funzionare. Pertanto si pensò al sabotaggio. Un altro episodio legato alla funzione dello storico Orologio di Ischia Ponte è quello che si riferisce al pittore del Borgo Mario Mazzella ed al racconto che ne fa suo figlio Luca Nel 1937 circa mio padre Mario Mazzella, giovanissimo pittore in erba, racconta Luca, riuscì con il suo maestro d’arte, il rumeno Jean Pletos, ad ottenere dal potesta’ fascista di Ischia, il cav. Berardi Buonocore, una stanzetta all’ultimo piano del palazzo dell’Orologio che adibí a studio, con l’impegno di caricare, due volte al giorno, i pesi del macchinario dell’orologio che scorrevano nel pozzo della torre”. “da piccolo, aggiunge Luca Mazzella, ero solito recarmi con mio padre nel suo studio sulla sommità della torre, dietro il quadrante dell’orologio. Mi ha sempre affascinato poter entrare in quella torre disabitata, dagli alti gradini che, tra un piano e l’altro, conducevano allo studio di papà. Mi piaceva esplorare angoli nascosti in cui scoprii per caso il settecentesco quadrante in marmo dell’antico orologio, con il meccanismo dai mille ingranaggi. Ricordo in particolare un aneddoto che in quel periodo mi impressiono’ molto. In una giornata tempestosa io e mio padre ci trovavamo come al solito nello studio. All’improvviso lampi e tuoni interruppero per la loro violenza il lavoro di mio padre, cosa molto insolita. Mi prese per mano e mi intimo’ di uscire immediatamente dalla torre. Mi racconto’ poi che durante la sua gioventù’ un poderoso fulmine distrusse la cella campanaria scaraventando le campane giu’ per strada. Spesso, dopo le piogge, mi mostrava la parete terrosa della dirimpettaia collina del Sorronzano, ove si staccavano pezzi di pozzolana a causa del maltempo”. Il Palazzo dell’Orologio si affaccia sulla piazzetta antistante la Cattedrale di S. Maria della Scala e si caratterizza per il suo sviluppo in verticale. L’edificio cresce su tre livelli e ospita la più grande libreria dell’Isola, Imagaenaria e il Museo del Mare. A questi si accede sul lato destro, attraverso un ingresso che conduce alle cinque sale espositive. La facciata principale dell’edificio è sormontata da un edicola campanaria a due fornici con al centro, nella parte inferiore, l’orologio pubblico, da cui deriva il nome. Il Palazzo dell’Orologio fin dal 1759 fu utilizzato come sede della Casa Municipale. Vi erano la sala consiliare, gli uffici e persino il carcere, a piano terra. La scelta non era casuale, infatti, fin dal 1730 i Parlamenti Generali si tenevano nel borgo di Celsa e a rafforzare questa funzione pubblica, nel 1759 si dotò il palazzo di un orologio municipale con un quadrante in marmo, che fu sostituto nel 1961. Nei primi del Novecento, intorno agli anni Venti, si ebbe un mutamento di sede per la Casa Comunale, che dal Palazzo dell’Orologio fu trasferita nel vicino Palazzo Mazzella. Il trasloco rese possibile ospitare nell’ex Municipio le scuole elementari, che qui rimasero fino al 1967. Fu solo nel 1996, invece, che il suddetto edificio, divenne sede dell’attuale Museo del Mare.
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COPPIE DI SPOSI AD ISCHIA DAGLI ANNI ’30 AD OGGI E RICORDI STORICI DI “SCUGNIZZI” ISCHTANI A CACCIA DELL’ULTIMO CONFETTO SUI SAGRATI DELLE CHIESE ALL’ USCITA DEGLI SPOSI E DEGLI INVITATI
NEL 2020 FINO ALLO SCORSO MESE DI SETTEMBRE 2024, SONO STATI CELEBRATI IN ITALIA 226.70 MATRIMONI, CON 6.300 IN MENO RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE. SULL’ISOLA D’ISCHIA I MATRIMONI LO SCORSO ANNO FINO AD OGGI, SONO STATI 198 DI CUI UNA TRENTINA COL SOLO RITO CIVILE. PER LO PIÙ CI SI SPOSA SOTTO I 27 ANNI PER L’UOMO E SOTTO I 24 ANNI PER LA DONNA. DIMINUITI I MATRIMONI CON STRANIERI NON NATI SULL’ISOLA, SIA DA PARTE DELL’UOMO CHE DELLA DONNA. AUMENTATI I MATRIMONI FRA ISOLANI DI PROVENIENZA DA COMUNE DIVERSO. DALLO SCORSO ANNO FINO AD OGGI 15 SONO STATI I MATRIMONI TRA PERSONE NON DI ISCHIA CHE HANNO SCELTO LA NOSTRA ISOLA PER CONVOLARE A NOZZE. CONTENUTO IL NUMERO DELLE SEPARAZIONI. INSOMMA IL QUADRO DI STABILITÀ DEI NOSTRI SPOSI È ABBASTANZA RASSICURANTE E NON PROMETTE IMPENNATE NEGATIVE. LA CHIESA DI ISCHIA CON I SUOI INCONTRI, CONVEGNI, CAMMINI NELLA FEDE E NELLO SPIRITO E VISITE PASTORALI ALLE PARROCCHIE DELL’ISOLA DEL VESCOVO DI ISCHIA MONS. CARLO VILLANO RAPPRESENTA EVIDENTE PUNTO DI RIFERIMENTO PER LA NOSTRA GIOVENTÙ CHE INTENDE SEMPRE PIÙ CAMBIARE, APPRENDERE, MISURARSI
La Giarrettiera rimane l’indumento intimo a cui le spose sono ancora… affezionate
PASSATO DA INCUBO PER LE SPOSE DELLA VECCHIA ISCHIA COSTRETTE A SEGUIRE ANTICHE CREDENZE, SUPERSTIZIONI E TRADIZIONI “”IRRINUNCIABILI”
Gli invitati alla di festa di nozze erano tenuti a evitare il colore bianco per il loro abbigliamento, come erano tenuti, per tradizione e per disgrazia , a evitare il nero qualora vi fosse stato chi portando il lutto stretto, avrebbe fatto fatica a toglierlo in quel giorno particolare di festa. L’abito da sposa rosso (raro) era ed è considerato segno di desiderio e passione
DI MICHELE LUBRANO
Nei primi del novecento, sull’Isola d’Ischia specie nell’entroterra, l’abbigliamento della sposa era oggetto di tradizioni, superstizioni e credenze, a partire dal colore: il più comune era ed è tutt’ora il bianco, simbolo di purezza e ritenuto fortunato; il blu raramente usato, indicava sincerità da parte della sposa; il turchese lo si giudicava gradevole ed aristocratico; il verde timidezza; il nero mai usato, pentimento; l’avorio invece preannuncia una vita turbolenta; il marrone e il grigio indicavano che gli sposi sarebbero andati a vivere lontano o in campagna; il rosa prediceva una perdita economica. Anticamente era indossato dalle spose non più vergini o nelle seconde nozze, come spesso si fa anche oggi; il rosso era ed è desiderio e passione; il giallo mancanza di stima da parte della sposa. Gli invitati erano tenuti a evitare il colore bianco per il loro abbigliamento, come erano tenuti, per tradizione e per disgrazia , a evitare il nero qualora vi fosse stato chi portando il lutto stretto, avrebbe fatto fatica a toglierlo in quel giorno particolare di festa, anche se era ed è oggi, un colore molto di moda in particolare nel mondo giovanile, soprattutto nei ricevimenti serali. Nella tradizione antica ischitana, si voleva che il giorno delle nozze la sposa portasse con sé: una cosa vecchia: a simboleggiare il passato, la vita antecedente al matrimonio e la sua importanza. Ogni sposa avrebbe indossato un oggetto appartenente al proprio passato per non dimenticarlo nel nuovo cammino che andava a intraprendere; una cosa nuova: era simbolo della vita che sta per cominciare e delle nuove sfide che porterà con sé; una cosa prestata: sarebbe stata una persona cara a prestare quest’oggetto, a simboleggiare che le persone care restano vicine anche nel passaggio dal vecchio al nuovo; una cosa regalata: avrebbe simboleggiato l’affetto delle persone che si amano; una cosa blu: avrebbe indicato sincerità e purezza da parte della sposa. Da tradizione, di questo colore era la giarrettiera, indossata nel caso di gonne ampie e lunghe. Il futuro marito non poteva vedere il vestito da sposa prima della cerimonia: farlo avrebbe portato sfortuna. Del resto si pensa così anche oggi. Per quanto riguarda gli anniversari va detto che la tradizione ha assegnato particolari denominazioni agli anniversari di matrimonio, soprattutto con il crescere dell’importanza commerciale della festa. Le principali ricorrenze festeggiate sono il 25º anniversario, denominato nozze d’argento, e il 50º anniversario, che prende il nome di nozze d’oro.
michelelubrano@yahoo.ii
DI ANTONIO LUBRANO
Ottobre 2024 , tempo di matrimoni sull’isola, oggi come ieri. Ed anche tempo di ricordi nostalgici. Il lancio dei confetti agli sposalizi ad Ischia per il passato, ha rappresentato il primo ed unico richiamo per i ragazzi “scugnizzi” delle contrade nei vari comuni isolani. Vi accorrevano sicuri di fare bottino pieno di tutti i confetti che venivano riversati addosso agli sposi del loro quartiere lungo il percorso del corteo nuziale, dall’abitazione della sposa fino alla chiesa, ed in particolare all’uscita, dopo la cerimonia religiosa, sui sagrati delle chiese stesse. In quel preciso luogo, prendevano corpo vere e proprie ammucchiate di ragazzini, che, carponi, fra i piedi degli sposi e degli invitati da prima fila, si producevano in un’ arrembante e affannosa caccia all’ultimo confetto rimasto per terra o nascosto sotto il velo a strascico della sposa felice e compiacente per quel ormai frequente spettacolo. I confetti lanciati da finestre e balconi del primo piano e dal piano terra, lungo il percorso del corteo a piedi o con i taxi tirati a lucido per la speciale occasione, erano posti in vassoi o guantiere d’argento, ricoperte del classico fazzoletto di lino antico ricamato e merlettato. Era la tradizionale e colorita usanza, messa in atto dalle famiglie della zona da dove proveniva la sposa o lo sposo per il doveroso omaggio alla giovane o al giovane rampollo che dava l’addio al celibato ed agli abituali amici e conoscenti del rione. Una specie di saluto da commedia, che gli sposi al passaggio, dimostravano di gradire, alzando le mani e rispondendo a loro volta al gesto augurale inscenato per amicizia e simpatia nei loro riguardi. Tutto questo accadeva intensamente dalle nostre parti negli anni ’40 e ’50, quando i confetti bianchi da soli, stimolavano l’interesse fanciullesco dei ragazzi del quartiere il sabato e la domenica, giorni solitamente utilizzati per le feste nuziali nel paese, per le strade ed in chiesa avvolti tutti in un appetibile clima di festa popolare. I mesi preferiti per tradizione, per lo più, erano ottobre, prima decade di dicembre e marzo, ma in special modo ottobre. Così si pensava e si agiva nella semplicità di quei tempi andati, dove quei confetti raccolti nella strada agli sposalizi costituivano un dolce ed avido alimento per i cosiddetti “scugnizzi” ischitani, a quel tempo, privi di tante cose. Oggi è tutta un’altra storia. Quei ragazzi di contrada che facevano gruppo per dividersi l’ultimo confetto raccolto per terra sotto l’abito bianco a strascico della sposa all’uscita dalla chiesa o salvatosi dalle ruote pesanti dei taxi del corteo nuziale, non vi sono più. Sono diventati padri, zii, nonni con tutto un carico di ricordi con i quali vale la pena di continuare a vivere. Ricordi che non si riducono ai soli confetti raccolti per terra in occasione di quegli indimenticabili sposalizi del quartiere, ma anche a tutto quanto è accaduto dopo, nella vita che è seguita. Finisce un’epoca e ne incomincia un’altra, più “aperta” e complessa con nuove usanze, diversa visione della vita, nozze senza veletta della purezza, matrimoni anticonvenzionali, coppie di fatto, unioni civili, matrimoni gay e libere adozioni. Un misto di “conquiste” che per tante di loro non sempre finisce bene. E la lista potrebbe continuare. Percorriamo strade di un mondo nuovo, dove per fortuna non si avverte la percezione che vada in un’unica direzione, verso un anticonformismo assoluto ed appiattito su distorsioni di fatti e di pensiero ed anomalie fisiologiche ed esistenziali. Noi siamo connotati da quest’altra parte della barricata , dove c’è una società più a portata dei nostri valori ed ideali di vita in cui ci fa piacere constatare, almeno per ciò che ci riguarda, che gli sposi naturalmente, storicamente e tradizionalmente, sono un uomo ed una donna con gli abiti belli del rito di sempre: la donna con l’abito bianco e velo a strascico e l’uomo con l’abito scuro che realizzano insieme il primo grande sogno della propria vita con l’altare, la chiesa, i fiori d’arancio, gli immancabili confetti non più raccolti per terra da ragazzi discoli ed intraprendenti, il sacerdote ed il suo sermone, gli anelli, la benedizione, il servizio filmato e fotografico da set cinematografico con l’immancabile Drone gli invitati, la location di grido per il festino, la festa nuziale finale con tanti, tanti invitati. Quindi mettendo al confronto i due modi di convolare a nozze, quello di 60 anni fa e quello dell’era corrente, vincono la ricchezza, il colore, le idee, il fascino e tutto il movimento dell’apparato organizzativo che ruota con i comprimari compresi intorno alla celebrazione di un matrimonio d’oggi col rito civile prima e religioso dopo, che a buona ragione, considerato l’impegno che occorre e quello che può costare in euro, non è affatto uno…scherzo.
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