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Servizio Speciale

di ANTONIO LUBRANO & MICHELE LUBRANO

Con Fotoricerca

di GIOVAN GIUSEPPE LUBRANO

Fotoreporter

 

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SAPERSI ABBANDONARE AI VALORI DELLE VECCHIE USANZE  E INTRAMONTABILI  TRADIZIONIDELLE COSE SEMPLCI, UTILI E BELLE DEL PASSATO:

QUANDO NELL’IMMEDIATO DOPO GUERRA ED ANCHE PRIMA DEL SECONDO CONFITTO MONDIALE, GIUNGEVANO QUASI IN CONTEMPORANEA INTORNO ALLE NOVE DEL MATTINO  NEL PORTO D’ISCHIA ED AL PONTILE DI LEGNO AD ISCHIA PONTE LE DUE VECCHIE MOTOBARCHE, LA “ SCAROLA” E IL “SALVATORE PADRE” PROVENIENTI, LA PRIMA DAL PORTO DI TORRE ANNUNZIATA E LA SECONDA DA POZZUOLI, CARICHE DI CARBONE – I CARBONAI A ISCHIA NON SONO STATI IN MOLTI. DUE O TRE PER COMUNE PER SERVIRE UNA POPOLAZIONE NEL SUO FABBISOGNO DOMESTICO.  A ISCHIA  PONTE CON PROPRIE BOTTEGHE LUNGO IL CORSO HANNO FATTO LA STORIA DI QUESTO MESTIERE NEGLI ANNI ’50 GILDA  (GILDARELLA) DI MEGLIO-CORTESE E UN SIMPATICO PERSONAGGIO CONOSCIUTO COL NOME DI PALLUOTTOLO AL SECOLO VINCENZO LAURO, CON UN MEZZO SIGARO SPENTO ABITUALMENTE FRA LE LABBRA. A PORTO D’ISCHIA, PROPRIO LUNGO VIA PORTO, SI RICORDANO LE BOTTGHE-DEPOSITI DI MANCINELLI, IL QUALE INSIEME AI COLLEGHI DEGLI ALTRI COMUNI DELL’ISOLA, SI RIFORNIVA DIRETTAMENTE DAI BARCONI QUANDO QUESTI, OLTRE ALLE MOTOBARCHE “SCAROLA” E “COLOMBA”,  GIUNGEVANO NEL PORTO DI ISCHIA DA TORRE ANNUNZIATA E DA TORREGAVETA

CARBONE CARBONELLE  E “ ‘A VRASERA”  IN UNA SEMPLICE CASA A PIEDIMONTE

Il rito del rosario intorno al braciere – le poste duravano ore. Quando si arrivava alla litania,

alcuni di noi si erano già addormentati.

DI MICHELE LUBRANO

Il braciere con relativo asciuga panni,  è stato per gli ischitani della costa, della campagna e della montagna nei mesi freddi  il toccasana per riscaldarsi e al contempo ricevere  calore nella casa in cui vivevano. Il braciere in uso in casa  per lo più fino agli anni ’60, ha accompagnato diverse generazioni  in un calore familiare domestico forte quanto, e forse più, il  calore stesso del braciere intorno al quale ci si riuniva e si raccontavano le belle storielle, quelle dei nonni, che facevano felici i più piccoli. Carbone, carbonelle e “cernitura” riempivano quell’utile contenitore di rame o di ottone che nella stagione invernale diventava il padrone assoluto del rifugio familiare di ogni ceto e condizione sociale. I poeti a modo loro lo hanno decantato, alcuni autori di novelle lo hanno messo al centro dei loro racconti. Lo ha fatto anche Maria D’Acunto da Piedimonte quando era in vita, non nuova a componimenti che riuscivano sempre a catturare l’interesse di chi con piacere li leggeva. Maria e il Braciere, o meglio ‘A Vrasera  è il titolo immediato che ci sentiamo di dare all’intervento  che Maria postò sulla sua pagina di Facebook  in cui con il suo acume e fertile fantasia, da par suo,  dipinse un quadretto familiare con il calore ed i colori giusti che una scena d’altri tempi disegnata intorno al braciere o ‘ Vrasera, sapeva offrire. Riportiamo il piccolo racconto postumo di Maria D’Acunto per intero:

“Attuorn’ ‘a VRASERA
Chi avette pane murette
e chi avette fuoco canmpaje

DI MARIA D’ACUNTO

Se il fuoco è sacro, ‘a vrasera era il nostro sacrario. Era al centro non solo della stanza, ma anche della nostra vita nelle lunghe serata invernali.Tutto si svolgeva intorno a questo oggetto magico.
Non c’erano televisori, telefonini sofisticati, drone: c’eravamo solo noi. Ma non ci annoiavamo, perchè sapevamo stare insieme, piccoli e grandi. Le donne filavano, gli uomini fumavano la pipa. E noi arrostivamo le fave secche sull’ardente brace. E tutto con i piedi poggiati sul portabraciere. Si parlava (i discorsi non finivano mai), si rideva, si litigava per contendersi le fave. E ogni tanto volava una sgridata o una tirata d’orecchio. E si celebrava un rito: quello del rosario. Sempre intervallate da dissertazioni o da risate, le cinque poste duravano ore. Quando si arrivava alla litania, alcuni di noi si erano già addormentati.
A condurre il rosario era zia Renata. Non era proprio una nostra zia, ma allora tutti gli anziani venivano appellati così: zì Tore, zi Vicienzo. zia Carmela, zia Cuncetta.
Zia Renata veniva da Roma ( chissà come era finita qui, nello sperduto paesino che era allora Piedimonte!) Era stata a teatro e conosceva tutte le opere liriche (poi mi regalò i libretti. Devo a lei le prime conoscenze operistiche): Era l’unica che sapesse i misteri che si recitavano alla fine di ogni posta. misteri gaudiosi, dolorosi, gloriosi.
A noi piaceva il quinto mistero gaudioso. Ci faceva ridere, perchè zia Renata lo recitava così: “Nel quinto mistero gaudioso si contempla come Giuseppe e Maria ritrovarono Gesù che era sparito. Lo cercarono e lo trovarono nel tempio che sputava, essendo di anni dodici.” Il salto di una sillaba iniziale ci divertiva moltissimo.

  michelelubra@yahoo.it

DI ANTONIO LUBRANO

Noi ischitani siamo pazienti  e spesso ci affidiamo alle nostre preziose tradizioni. Per questo, torna alle vecchie abitudini  chi  non possiede tutte, o almeno quelle necessarie, le comodità moderne che gli rendono l’esistenza più facile da vivere. Dalle parti di Serrara Fontana, Buonopane, Testaccio, Succhivo, il Ciglio ed altre località dell’entroterra  e montane  c’ è  chi  fa ancora uso del carbone, delle carbonelle e del  vecchio e tradizionale braciere dal momento che si è ripresentsto il Generale Inverno a portare il vero freddo che…mancava.  Per certi “paesani” il braciere ed un asciuttapanni valgono più di un impianto di riscaldamento a gasolio o a metano e di una stufa moderna. Valli a convincere…Ma in fondo tanti torti non avrebbero, specie se  vengono fatti i conti in tasca. La nostalgia delle cose belle del passato  a volte torna, E quando lo fa ti strugge e ti fa vedere tutto diversamente. Quando nell’immediato dopo guerra ed anche prima del secondo confitto mondiale, giungevano quasi in contemporanea intorno alle nove del mattino  nel porto d’Ischia ed al pontile di legno ad Ischia Ponte le due vecchie motobarche, la “ Scarola” e il “Salvatore Padre” provenienti, la prima dal porto di Torre Annunziata e la seconda da Pozzuoli, cariche di carbone, nei due centri, già animati dal  vociare  e dal via vai di donne e uomini, chi diretti al mercato per la spesa quotidiana e chi  al posto di lavoro, si inscenava una piccola e simpatica festa. Una festa di paese sicuramente, ma tanto improvvisata quanto ricca di buoni sentimenti. Due personaggi del popolo, per l’attesa circostanza, abilitati a farlo,  scendevano in piazza, per le strade principali e per i vicoli per annunciare  l’ arrivo della barca e la vendita del prezioso prodotto al peso di un kilogrammo ed oltre, sia al Ponte che al Porto per chiunque ne avesse di bisogno. In realtà si trattava di due “banditori” con licenza di ricoprire quel ruolo. Tore ‘e Carretta a Ischia Ponte e Saturino a Porto d’Ischia, con voce tuonante e prolungata annunciavano al popolo, l’atteso “evento” che in pratica, permetteva di rifornire case, aziende, comunità di pescatori, cantieri navali, contadini che producevano il vino cotto e quanti altri ancora dipendevano per la vita, dall’uso  di quel prezioso prodotto nero che fra l’altro sporcava anche.  La festa, ignari di quanto accadeva, la facevano i bambini che seguivano divertiti i due banditori, come se ciascuno di essi fosse l’allegro  uomo del Flauto Magico.  Il carbone a quei tempi ed anche molto prima, era un prodotto necessario  per il focolare domestico degli ischitani. Col carbone si accendeva il fuoco resistente per cucinare ventilato con utili ventagli di legno sottile o di canapa dura, per riscaldare la casa, attraverso la funzione di un apposito braciere, divenuto subito oggetto utilissimo e di arredo per ogni abitazione. Col carbone inoltre si accendevano grossi fuochi sotto altrettanti grossi pentoloni sistemati sulle spiaggie  per la tintura delle reti dei pescatori, per la tradizionale “culata” che consisteva nel mettere a mollo caldo la biancheria di casa (lenzuola, federe, asciugamani, camice da notte) rigorosamente di lino pesante ricoperti in superficie da uno strato di cenere chiamata col linguaggio popolare “cernitura” . Col carbone del tipo carbon fossile, in fine lavoravano sull’isola le botteghe  dei fabbroferrai per piegare il ferro sulla fiamma rovente per costruire ferriere per balconi e cancelli. I carbonai a Ischia non sono stati in molti. Due o tre per Comune per servire una popolazione nel suo fabbisogno domestico.  A Ischia  Ponte con proprie botteghe lungo il Corso hanno fatto la storia di questo mestiere negli anni ’50 Gilda  (Gildarella) Di Meglio-Cortese e un simpatico personaggio conosciuto col nome di Palluottolo al secolo Vincenzo Lauro, con un mezzo sigaro spento abitualmente fra le labbra. A Porto d’Ischia, proprio lungo via Porto, si ricordano le bottghe-depositi di Mancinelli, il quale insieme ai colleghi degli altri comuni dell’isola, si riforniva direttamente dai barconi quando questi, oltre alle motobarche “Scarola” e “Colomba”,  giungevano nel porto di Ischia da Torre Annunziata e da Torregaveta.

 

                                                                                                        lubranoantonio516@gmail.com

 

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GIOVAN GIUSEPPE LUBRANO

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