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di ANTONIO LUBRANO
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CAVALCATA NELLA ISPIRAZIONE CONCETTUALE LA STORIA DELLA’ARTE ANTICA E DEL SECOLO SCORSO NELLA COLLETTIVA CURATA DALLA CRITICO D’ARTE MARIA PALLADINO ORGANIZZATRICE DELL’EVENTO
– L’ARTISTA YLENIA PILATO, CON GRANDE RICONOSCENZA, HA COSÌ ESPRESSO IL SUO PENSIERO:” RINGRAZIO LA CURATRICE MARIA PALLADINO PER QUESTA GRANDE OPPORTUNITÀ ESPOSITIVA A TREVISO. SONO STATA SUBITO ATTIRATA DAL TEMA SCELTO PER LA CREAZIONE DELLA MIA OPERA. LA RAPPRESENTAZIONE DEL VISO UMANO NELLA STORIA DELL’ARTE È UN ARGOMENTO COMPLESSO MA AFFASCINANTE. UNO DI QUELLI CHE SI POSSONO AFFRONTARE IN MANIERA FILOSOFICA E DOTTA OPPURE IN MODO PIÙ INTUITIVO E SENSORIALE. HO SCELTO DI RAFFIGURARE FREYA PERCHÉ È UNA FIGURA MOLTO INTRIGANTE, UNA DELLE MIE DIVINITÀ MITOLOGICHE PREFERITE, CON ATTRIBUTI CHE POSSONO ESSERE PARAGONABILI A QUELLI DELLE ANTICHE TRADIZIONI SCIAMANICHE…”.
DI ANTONIO LUBRANO
Collaborazione: Ylenia Pilato
Dal 9 al 21 novembre 2024 si è svolta la mostra collettiva d’arte internazionale ” Simulacri dell’uomo. Figure, volti, sembianze” presso la Barchessa Villa Quaglia a Treviso. L’organizzazione, la cura e la presentazione sono stati del critico d’arte Maria Palladino, che ha accompagnato il pubblico a conoscere i singoli artisti e il loro mondo espressivo. Fin dalle epoche più remote, la rappresentazione della figura ha significato per l’uomo un’autoriflessione relativa al proprio posto nel mondo, alla ricerca del senso della propria esistenza. A partire da 32.000 anni or sono, con i graffiti rupestri, l’individuo ha narrato di sé per costruire la propria storia, come rito propiziatorio per la caccia, per segnalare che un dato luogo era occupato, o testimoniare il proprio passaggio. Il corpo era raffigurato in maniera estremamente stilizzata, con il tronco frontale e gli arti laterali, a lasciare immaginare una rudimentale idea di profondità. Altre volte semplici impronte di mani stavano ad indicare un’affermazione di identità, la traccia della propria esistenza. Nel Paleolitico Superiore, le Veneri Steatopigie, datate da 35.000 a 11.000 anni fa, documenterebbero la femminilità del tempo, con attributi fisici molto pronunciati, statuette votive del culto coevo della Dea Madre. Innegabile la rilevanza della resa artistica della grazia e della proporzione nella Grecia classica, allorché il Canone di Policleto, redatto dallo scultore intorno al 450 a. C., stabiliva la ricerca di un modulo che descrivesse armonia e bellezza, nelle forme del corpo come nell’architettura. Compiendo un salto temporale fino al periodo rinascimentale (1492 – 1600), la ripresa dei canoni classici e la visione antropocentrica e neoplatonica, l’essere umano è posto al centro del mondo, con la capacità di determinare il proprio destino, e penetrare con il proprio intelletto la creazione divina. Esempi sono le opere di grandi maestri quali Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Botticelli, Donatello, Tiziano, Giorgione, i cui capolavori ancora oggi incantano il mondo. Uno scarto notevole possiamo osservarlo invece successivamente, in epoca postimpressionista e preespressionista: Edvard Munch (1863 – 1944), con il dipinto “L’urlo” (1893), di cui l’autore produsse diverse versioni, è una visione della natura i cui colori stravolti echeggiano la disperazione dell’uomo, travolto dalle vicissitudini della vita, e i cui tratti somatici risultano anch’essi snaturati. Con opere quali “La danza” (1909), “La gioia di vivere” (1906), “La musica” (1910), di Henri Matisse (1869 – 1954), le forme appaiono schematiche, il segno si fa continuo, corposo e avvolgente, il ritmo è serrato e i colori divengono espressione delle passioni.
Il quasi contemporaneo Cubismo (1907 – 1914) vede il sovvertimento di tutti i parametri, a partire dalle “Demoiselles d’Avignon” (1906 – 1907) di Pablo Picasso, in cui ogni elemento, dalla prospettiva, alle proporzioni, al colore, è messo in discussione e scomposto, al fine di includere e prospettare nella visione ogni punto di vista possibile, una crisi degli strumenti conoscitivi, considerato anche il periodo pre-bellico. In età secessionista (1898 – 1918), il lavoro di uno dei capofila, Egon Schiele (1890 – 1918), aaprofondiva il contesto di questa crisi, divenuta ancor più drammatica nel periodo della Prima Guerra, espandendosi nel campo dei valori umani e della psiche. L’estrema disarticolazione delle membra, presente nei suoi soggetti, e la loro erotizzazione, è rivelatrice, oltre che di una grande maestria anatomica, di una sofferenza interiore che esplicita il demone di ogni grande artista, dato dalla sua stessa capacità di rompere gli schemi.
Il Surrealismo di Joan Mirò (1893 – 1983), scultore, pittore e ceramista catalano, osserva un superamento della forma in vista della creazione di un vero e proprio linguaggio che si avvicina all’astrazione: i cosiddetti “miroglifici”, coem definiti dal poeta e scrittore francese Raymond Queneau (1903 – 1976), i quali producono un codice ricorrente, con i propri particolari grafemi, che ripercorre i motivi dell’automatismo psichico e di un intenso spiritualismo, rivelando creature polimorfe. L’arte informale di Willem de Kooning (1904 – 1997), nutrendosi di luce, colore e segno, scompone queste istanze per dare origine a suggestioni che non ravvisano, ma evocano le entità citate, come nella serie di sei, a partire dall’opera antesignana “Donna I” (1950 – 1952).
Di segno differente, la serie delle “Têtes d’otages” di Jean Fautrier (1898 – 1964), esponente del “Tachisme”, pittura informale a macchie degli anni ’50 in Francia. Protagonista della resistenza nel periodo della Seconda Guerra, ne ritrarrà la tragica essenza in queste fisionomie appena accennate, che immortalano le cicatrici dell’anima dei partigiani francesi (1942 – 1943). Per amore di sintesi, giungiamo all’esperienza espressionista del secondo Novecento del pittore irlandese Francis Bacon (1909 – 1992): l’esperienza personale e individuale diviene protagonista, traducendosi in immagini che turbano e inquietano, rivelando il vissuto celato nelle ombre della coscienza, come nella celeberrima sequenza dei “Papi” (1949 -1956), derivati dal “Ritratto di Papa Innocenzo X” (1650) di Diego Velàzquez, in cui i colori cupi echeggiano la desolazione degli ambienti. “Questa breve carrellata, ha rivelato la curatrice Maria Palladino, descrive a grandi linee il rapporto fra la parvenza umana e l’arte, che gli artisti selezionati ad esporre in questa mostra sono chiamati ad interpretare e proseguire, seguendo la loro tecnica, stile e poetica personale.” In esposizione opere degli artisti: Abo Alberto Nori, Aldo Diana, Andrea Pisano, Annalise Ambrogio, Blasco Maria Patricolo, Corrado Campisi, Davide Clementi, Domenico Zullo, Edy Tiravanti, Egle Piaser, Elisabetta Mion, Gianni Mattera, Gianluca Grosso, Manuel Silvestrin, Mariella Stirpe, Marina Comerio, Marino Salvador, Michela Marinai, Monica Antiga, Oronzo Mattiace, Piero La Rosa, Romina Lorusso, Stefano Zaniboni, Ylenia Pilato. Tra questi artisti i due ischitani Adelante Gianni Mattera e Ylenia Pilato si sono distinti in particolar modo per le loro opere, per le quali hanno ricevuto un’expertise d’opera a cura della curatrice e critico d’arte Maria Palladino. Sull’ artista Adelante Gianni Mattera si e’ così espressa :” Adelante Gianni Mattera spazia dallo stile informale, affine al filone dell’action Painting e del Color field Painting alla pop art in un’ottica molto vicina alla Graffiti art e ad un neofigurativismo di stampo espressionista, appartenente al Dap, Divisionismo Artistico Partenopeo e al Movimento artistico Esasperatismo, nella sua pittura ampia parte è lasciata alla trasfigurazione emozionale delle realtà rappresentate, con una componente grafica molto marcata. Le figure come “Federico” si lasciano ravvisare quali entità isolate, che si stagliano molto spesso su sfondi monocromi, i quali ne evidenziano le caratteristiche somatiche e ancor di più il portato psichico di cui si fanno carico, costituendone memoria, ritraendone il carattere, evidenziando l’unicum che si propongono di fissare permanente sul supporto. Il segno appare spezzato e franto, perlopiù discontinuo nello spessore e nelle regolarità, come se queste effigi emergessero a fatica dalle profondità della coscienza, per riacquistare corpo ed evidenza attraverso le mani e l’intelletto e la sensibilità dell’artista, farsi pensiero e sentimento. Tali ritratti sono inoltre generalmente cosparsi da un dripping leggero e rado, che origina un sottile diaframma fra noi e il soggetto, come se questo ci riguardasse da insondabili lontananze. Le stesse creazioni astratte, nella consistenza alternante delle sovrapposizioni cromatiche suggeriscono risonanze immateriali, proiettando l’attenzione verso l’interiorita’ “. L’artista Adelante Gianni Mattera si è così espresso:” Ringrazio la curatrice Maria Palladino per avermi selezionato tra gli artisti. I suoi eventi sono sempre di livello. Nella mia opera ho raffigurato il volto di Federico Capuano, nota figura foriana amata e voluta bene da tutti, la cui scomparsa è stata nel 2020. Il suo volto sembra riaffiorare dalla superficie della tela in maniera vivida, facendo imprimere l’immagine nella mente di chi non lo dimentica, li’ dove il suo ricordo resta per sempre. Ci tenevo a presentare un’opera che in un certo qual modo potesse ricondurci all’isola d’Ischia. Il volto di Federico era molto espressivo. Lo ricordo bene. Nelle mimiche facciali può nascondersi una grande ragione esistenziale. La nostra individualità, la nostra identità si costituisce nel tempo attraverso la nostra vita interiore che viene costantemente penetrata e alterata dal mondo esterno, e di cui il volto ne è specchio”, ha rivelato Adelante Gianni Mattera. Anche l’artista Ylenia Pilato ha partecipato alla mostra collettiva internazionale d’arte ” Simulacri dell’uomo. Figure, volti, sembianze”, ricevendo il suo expertise d’opera dalla curatrice Maria Palladino, la quale si è così espressa sull’artista:” Ylenia Pilato presenta un omaggio a ” Freya” dea principale della mitologia nordica, divinità dell’amore, dell’eros, della fertilità, ma anche della magia e della divinazione, come della guerra, immagine prettamente femminile nella sua raffigurazione, e nella sua simbologia, attributi e funzioni. E distintamente muliebri sono lo stile e la tecnica, originali e singolari elaborati da Ylenia Pilato, che rivivifica la pratica del collage materico, fra opera pittorica e installazione. Impiegando materiali di riciclo quali stoffe e abiti usati, opportunamente tagliati e ricomposti in una policromia caleidoscopica di tasselli, in cui ogni pezzo trova la collocazione più opportuna per restituirci una visione d’insieme armonica e compiuta, di quanto l’artista desidera comunicare. Si tratta principalmente di rappresentazioni di figure di donna, di carattere orientaleggiante, esotico , mediterraneo, i cui toni vividi e accesi testimoniano una grande positività di visione, che prende le mosse altresì da un’attitudine decorativa, il gusto del costruire pazientemente un elaborato che si compie in una progressione costante e coerente di operazioni ripetute: novella Penelope, l’artista traduce nel suo linguaggio personaggi e storie, immagini che colpiscono la sua fantasia e si rivelano attinenti al suo metodo compositivo. Riusciamo quasi a percepire visivamente la morbidezza e la leggerezza di queste delicate tessiture, che nei preziosismi rivelano echi art nouveau”, ha dichiarato Maria Palladino. L’artista Ylenia Pilato, con grande riconoscenza, ha così espresso il suo pensiero:” Ringrazio la curatrice Maria Palladino per questa grande opportunità espositiva a Treviso. Sono stata subito attirata dal tema scelto per la creazione della mia opera. La rappresentazione del viso umano nella storia dell’arte è un argomento complesso ma affascinante. Uno di quelli che si possono affrontare in maniera filosofica e dotta oppure in modo più intuitivo e sensoriale. Ho scelto di raffigurare Freya perché è una figura molto intrigante, una delle mie divinità mitologiche preferite, con attributi che possono essere paragonabili a quelli delle antiche tradizioni sciamaniche. Si dice che ella possedesse un meraviglioso mantello di penne di falco che le consentiva di trasformarsi in una sorta di uccello. Ed ecco che ho circondato la figura di Freya da tanti uccelli colorati. Spesso nelle mie opere scelgo di raffigurare le donne, perché sono un soggetto molto versatile anche dal punto di vista sartoriale. Posso sceglierle di vestirle sbizzarrendo tutta la creatività e scegliendo un abito su misura diverso per ognuna di loro, come se fossi la stilista di quella donna per quella particolare opera che creo”, ha concluso l’artista Ylenia.
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